mercoledì 18 luglio 2018

IL SANTUARIO DEL PILAR A MADONNA DI CASTENASO E LA VILLA ROSSINI COLBRAN


Domenica 18 marzo 2018, ore 15. Nell'ambito delle iniziative organizzate per ricordare il 150° anniversario della morte di Giacchino Rossini, ho avuto l'opportunità di parlare della perduta villa che gli appparteneva e del Santuario che vide il compositore unirsi in matrimonio con la cantante spagnola Isabella Colbran (http://www.comune.castenaso.bo.it/news/150esimo-anniversario-dalla-morte-di-gioacchino-rossini-tripla-festa-a-castenaso-venerdi-16-conferenza-di-piero-mioli-al-cinema).
È una domenica piovosa, ma la chiesa si riempie rapidamente, anche per prendere posizione e assistere al concerto che seguirà.


Il Santuario della Madonna del Pilar è tuttora sotto la giurisdizione del bolognese Collegio di Spagna, e deve il nome ad una precisa iconografia mariana da collegare ad una antica devozione, secondo cui la Vergine apparve su di una colonna all’apostolo San Giacomo, nei pressi di Saragozza, che con il “pilar” (pilastro) gli chiedeva di edificare un tempio in suo onore. A dare nuovo impulso alla devozione è un evento miracoloso: Miguel Juan Pellicer, che da anni mendicava nei pressi del santuario, nel 1640 ottenne la ricrescita della sua gamba amputata. Nella città spagnola venne così fondato un grandioso santuario nel 1681 su progetto di Francesco Herrera.

L'evento non mancò di avere grande risonanza anche nel bolognese. A Castenaso quello che allora doveva essere una modesta cappelletta venne dotata, nel 1673, di una piccola pala di Giovanni Battista Bolognini (1612-1688), allievo di Guido Reni.
Lo schema è piuttosto semplice, piegato a finalità strettamente devozionali: a sinistra san Giacomo apostolo (ben identificabile dalla conchiglia del pellegrino sulla spalla destra), a destra San Pietro d'Arbues (1441-1485, già studente di teologia a Bologna presso il Collegio di Spagna, e ucciso da alcuni conversos mentre pregava davanti all'altare maggiore della cattedrale di Saragozza), al centro sulla colonna sono la Madonna col Bambino.
Davanti a quell'immagine passava ogni giorno una ragazza del posto, Maria Maddalena Azzaroni, solita fermarsi qualche istante per pregare. Un giorno di fine gennaio, mandata dalla madre a prendere una “zucca” d’aceto a casa della zia, la giovane passò davanti l’oratorio senza rivolgersi alla Vergine. Poco dopo sentì una voce che la chiamava, ma non vi prestò particolare attenzione. Sulla strada del ritorno, sentì nuovamente quella voce che le diceva: “Maria Maddalena non seguiti più la devozione della Madonna?” Si accostò all’oratorio e, una volta inginocchiatasi, le sembrò vedere “spiccandosi dal quadro, benché dipinta, la Santissima Vergine, e a lei incontro venendo, stringendole ambe le mani, le raccomandasse di nuovo la sua Divozione. La ragazza prese poi i voti nel convento di Santa Cristina di Senigallia, mentre si cominciò ad avviare la costruzione di un nuovo edificio dedicato alla Madonna del Pilar che sarebbe stato consacrato l’8 giugno 1745 con la traslazione della miracolosa immagine all’altare maggiore, disegnato da Carlo Nessi.
(Immagine tratta da http://www.wherewewalked.info/feasts/01-January/january_27.htm )


L'indomani della visione mariana si ebbe un intensificarsi dei pellegrinaggi al santuario castenasese, con il conseguente moltiplicarsi delle richieste di immagini devozionali. Dalla tela del Bolognini derivarono le incisioni di Ludovico Mattioli, particolarmente diffuse nelle case bolognesi, come rivela, a titolo di esempio, la citazione dall’inventario dei beni di Lelio Gio. Dalla Nave, 17 novembre 1757: “Quattro anconine, con cornice nera, e filetti intag.ti, e dorati con sue lastre d’avanti [sic], una rapp.te il Salvatore, un’altra la B.V. di Castenaso, un’altra la B..V. ed un’altra la SS.ma Annunziata.


L’esistenza di due disegni a sanguigna di Giuseppe Maria Crespi, conservati al Louvre e a Windsor Castle, suggerirebbe che siano da porre in relazione alla traduzione incisoria del Mattioli. Il legame tra Crespi (soprannominato lo Spagnolo per il suo modo di vestire “alla spagnola”) e il Collegio di Spagna è confermato dalle fonti. Quando l’Ercole e Anteo, dipinto da Crespi per il marchese Francesco Ghsilieri intorno il 1690, fu esposto pubblicamente, “passò davanti al quadro il Rettore del reale collegio di Spagna, e vedendo molta gente fermarsi a rimirare quella pittura, e udendo più volte da questo, e da quello: oh, quanto è valente lo Spagnuolo! Viva lo Spagnuolo; lo Spagnuolo è un egregio maestro; pensò, che questo pittore fosse veramente uno spagnuolo, a Bologna capitato per accidente, e mandò per esso il giorno dopo facendo grandissima instanzia, che a lui n’andasse 
V’andò lo Spagnolo con la usata franchezza, scevra d’ogni cerimonia, e soggezione, e fece riverenza a sua signoria. Cominciò subito il Rettore a parlargli in lingua Spagnuola, e molto seguitò, per lo che si trovò allora lo Spagnuolo alquanto impacciato; pure essendo capriccioso, e pronto, e immaginandosi onde a tal cosa derivasse, volle lasciar nel su’ inganno il Rettore, e gli disse, che sua signoria lo scusasse, sé in tal linguaggio non gli rispondea, conciossiaché da fanciullo era stato portato in Italia, e che però nulla sapea della sua lingua natia; e qui testè una graziosa novelletta della sua vita, e in modo, che quel signore ne restò soddisfatto, e di tale affetto per il finto nazionale s’accese, che gli offerse alloggiamento nel collegio, e quando potea derivare da lui, dicendogli ancora, che veramente in Ispagna v’era una famiglia de’ Crespi”. (Zanotti, 1739).



(Le immagini dei disegni, dell'incisione e del dipinto non tratte dal volume di Marco Riccomini, Giuseppe Maria Crespi. I disegni e le stampe. Catalogo ragionato, Torino, Umberto Allemandi & C:, 2014)


IL MATRIMONIO TRA GIOACCHINO ROSSINI E ISABELLA COLBRAN NEL SANTUARIO DEL PILAR

Acquistata intorno al 1813 da Juan Colbran a seguito delle sopressioni napoleoniche, la villa sorgeva sui beni del Collegio di Spagna, e dunque nei pressi del Santuario del Pilar. Distrutta nel secondo conflitto mondiale, la villa era stato il luogo in cui Isabella e Rossini vissero insieme gli anni successivi il loro matrimonio, celebrato il 16 marzo 1822 grazie alla dispensa del cardinale Carlo Opizzoni perché la data rientrava nel tempo di Quaresima.
Va precisato che, al suo arrivo a Bologna reduce dai successi partenopei, Gioacchino Rossini non aveva ancora il palazzo di Strada Maggiore. Lo acquisterà intorno alla metà del terzo decennio dell'Ottocento.
I giornali letterari danno notizia del matrimonio. La Gazzetta di Bologna del 16 marzo 1822 pubblica la seguente notizia: «La mattina del giorno 13 corrente Marzo è arrivata la signora Isabella Colbran nella sua Villeggiatura di Castenaso distante cinque miglia da questa città, in compagnia dei signori Maestro Rossini, David, Nozzari e Ambrosi, tutti provenienti da Napoli...»

 Nel Journal des Débats Politiques et Littéraires, mercredi 3 Avril 1822 si legge:
“Un Journal littéraire publi aujourd’hui quelques details sur le mariage de Rossini et de M.me Colbran. Ce mariage a été célébréà Bologne, le 19 mars dernier, avec beaucoup de pompe. Après la cérémonie, les époux se sont rendus à Castelnaso, terre qui aappartient à M.me Colbran.
La notizia  si diffuse rapidamente materia per “gossip” ce n’era in abbondanza. Corollario della cerimonia sarebbe stato il pieno possesso dei beni della moglie. L’atto dotale, assai complesso e articolato nella sua formulazione (11 novembre 1822), prevedeva che l’intero ammontare del patrimonio della cantante venisse amministrato da Rossini.   
Subito dopo il matrimonio, la coppia parte per Vienna, città in cui era imminente l'allestimento per la Zelmira.
La partenza dovette essere precipitosa, giusto il tempo per lasciare «due candelle di cera al custode di Maria Santissima aciò le avesse subito fatte ardere avanti a detta miracolosa immagine e cio perché avesse assistito li sudetti nel suo [sic] lungo viaggio».
In effetti già il 22 marzo 1822 Isabella scrive da Vienna alla suocera, Anna Guidarini:
 «vi prego di mandarm il Papà  [Giovanni Rossini] subito a Castenaso e che cerchi un involto stretto e lungo di tela incerata nera l’indirizzo è alla signora Brak che abbiamo dimenticato e mandarlo alla prima occasione».
Prima di partire per Napoli e abbandonare la direzione del teatro San Carlo che l’impresario Barbaja gli aveva affidato, per il quale aveva svolto il lavoro di “facchino della musica”, Rossini aveva scritto allo zio di Pesaro : «Un favore vi domando e in tutta segretezza. Mi abbisognano le mie fedi di battesimo e quelle di stato libero. Quando avrete dette carte, spedirete subito a mia madre a Bologna, ben suggellate, onde nepppure lei possa aprirle prima del mio arrivo». Isabella Colbran era da anni amica di Domenico Barbaia, milanese trapiantato a Napoli, che aveva iniziato la carriera facendo il lavapiatti al caffé della Scala.
Anche per questo motivo il matrimonio si svolse in segretezza, proprio come nell’ultimo atto del Barbiere di Siviglia: “zitti zitti, piano piano – non facciamo confusione”.

NOTIZIE SULLA VILLA ROSSINI E IL SUO GIARDINO A MADONNA DI CASTENASO



«Andare da Bologna a Castenaso, a dieci chilometri sulla strada di Ravenna, per rivedere la villa di Giachino Rossini, e non trovarla più, è una dura sorpresa. La guerra l’ha distrutta [bombardamenti del 18 aprile 1845]».
I lavori nella tenuta venivano seguiti anche da lontano, grazie al coinvolgimento di Giovanni Rossini, al quale Gioacchino e Isabella indirizzano numerose lettere.
Il primo dell’anno 1822 Giacchino chiede che il padre si occupi della villa di Castenaso «cioè del ultimo Piano. Dite al papà [la lettera è indirizzata alla madre] che guardi bene che i colori di cui devono esser dipinte le quattro stanze non siano carichi ma leggieri  [...]». Isabella ricorda alla futura suocera «voi vedere che è necessario a comodar la nostra Casa, ma le coltrine che erano nel salone in città sono grandi e come a Castenaso nella seconda Galleria hanno messo delle cortine fiorate, queste non mi piaceno e vorrei vedere se quelle di città son buone atal oggetto. Pensate voi mia cara pensate che gl’interessi sono Comuni e siete voi la sola a fargli andare bene non essendo noi capace di far nulla che Rossini a far musica ed io a cantar ma non sempre».
La villa era decorata da Domenico Ferri, esperto di dipinti prospettici, che Rossini coinvolgerà nella sua attività parigina e nell’esecuzione delle scene di alcune opere come la Cenerentola, la Donna del Lago, la Semiramide. Con la mediazione di Rossini fu nominato Peintre décorateur al Theatre Royal Italien della capitale francese. Suoi sono alcuni capricci architettonici conservati al Musée Carnevalet di Parigi.
Jean Pierre Dantan, Ritratto caricaturale di DOmenico Ferri, Paris, Musée Carnavalet
Domenico Ferri, Le Boulevard des Italiens de nuit, 1835 circa, cm 55,5x70, Paris, Musée Carnavalet

Domenico Ferri, Veduta composita di monumenti parigini, cm 52,5x74, Paris, Musée Carnavalet
Per le opere di Domenico Ferri si veda http://parismuseescollections.paris.fr/fr/musee-carnavalet/oeuvres/vue-composite-des-monuments-parisiens-0#infos-principales



21 dicembre 1822 Isabella Colbran da Napoli: «vi prego caro Rossini di andare a Castenaso, e ricordar a Cacciari [Luigi, che fu testimone di nozze] che mi disse se volevo la Scuderia bisognava far travagliare i contadini l’inverno. Così sse credete fategli sapere che potrebbe cominciar a comprar i materiali e fargli trasportare a Castenaso che col mio arrivo si principierà il lavoro».

Johann Baptiste Reiter, Ritratto di Isabella Colbran (nella sua villa di Castenaso ?), olio su tela, cm 185x144,5, Munich, Statens Museum for Kunst 

Se la villa, e soprattutto le sue pertinenze, avevano ancora necessità di interventi di miglioramento, il giardino sembra a quella data già disegnato e godibile.
Così appparve al librettista della Fenice di Venezia, Gaetano Rossi, che il  5 OTTOBRE 1822, ospite della villa di Castenaso, scrive a Mayerbeer della residenza: «Deliziosa, per vero, né più ameni contorni, bei giardini, tempietto voluttoso, lago, montuose, boschetti, e palazzo magnifico, elegante».
Isabella era molto legata al suo giardino e fa di tutto perché nella bella stagione si colori di fiori. Da Castenaso non può scorgere il mare di Posillipo, non può più godere dei terrazzi e dei giardini partenopei. Isabella scrive a un tale Poublon, un connazionale residente a Napoli, per chiedere qualche assistenza botanica: «La pregherei ora di pensare al mio giardino, di vedere se può mandarmi qualche fiore perché qui a Bologna non si trovano a nessun prezzo e i pochi che c’erano li ha comperati Luciano». Si riferisce a Luciano Bonaparte (Ajaccio, 1775 – Viterbo, 1840), fratello di Napoleone, che proprio nel 1822 si era stabilito a Bologna con la moglie Alexandrine de Bleschamps alloggiando dapprima a palazzo Caprara, messo a disposizione da Eugène de Beauharnais, quindi si trasferì alle porte della città, acquistando la villa alla Croce del Biacco. Ed è probabilmente qui che le piante da lui acquistate, citate nella lettera di Isabella, furono messe a dimora. 
I due si conoscevano da tempo. Isabella cantò nel 1801 al ricevimento offerto a Carlo IV di Spagna da Luciano Bonaparte. Entrambi si può affermare rappresentassero i testimoni che avevano vissuto in prima persona l’inizio e la fine di un’epoca, percorrendo un’intera parabola.
Il lago, il tempietto voluttuoso, i boschetti, i pittoreschi dislivelli del terreno, ricordati da Gaetano Rossi, sono lontani dal modello di giardino formale, ed evocano immediatamente la tipologia del giardino inglese, che tanta fortuna ebbe nella nostra città. Da quello di Ferdinando Marescalchi, ambasciatore a Vienna e ministro del Regno d’Italia, a quello che Mauro Gandolfi, figlio di Gaetano, meditava di realizzare «a così detto bosco inglese, con cascatelle d’acqua, fontane, paludetta per le piante palustri, statue, ruderi antichi e cinquecento piante esotiche», giardino che tuttavia Mauro non si godette a lungo a causa della «fatal nemica», la seconda moglie, perché fu costretto a vendere tutta la proprietà.

Ideatore di questi giardini, e probabilmente anche di quello Rossini, fu il ticinese Giovan Battista Martinetti, che fu committente anche di se stesso trasformando le aree di pertinenza dei conventi di San Giacomo e delle monache di San Vitale in un vasto giardino all’interno delle mura cittadine. La sua casa, ricavata nel convento delle monache di San Vitale, era un noto cenacolo di intellettuali locali e di passaggio (Leopardi, Stendhal, Byron), regno di sua moglie Cornelia Rossi Martinetti, nata a Lugo dal conte Domenico Rossi e dalla nobildonna bolognese Marianna Gnudi.
Al Martinetti si deve il progetto dei giardini, tra gli altri, della Montagnola, di villa Spada, di villa Aldini.
Il 3 settembre 1829 Isabella e Gioacchino tornano a Castenaso dopo aver messo in scena a Parigi, un mese prima, il Guillaume Tell. Alla fine del mese la coppia ospita in villa Édouard Robert, venuto a scritturare cantanti per il Théâtre Italien grazie all’influenza esercitata da Rossini. Scrivendo all’amico Severini, Robert definisce Rossini  «un buon fattore che pensa solo a piantare i suoi cavoli ed a chiaccherare “con tutti i paesani” in quell’abominevole dialetto, incomprensibile a chi non è bolognese.

Il 30 novembre vengono scaricate in dogana le prime casse, con gli oggetti e gli arredi spediti da Parigi. Isabella è felice di rientrare in possesso delle tante belle cose raccolte nella casa di Boulevard Montmartre, ma il loro arrivo è anche il triste segnale della conclusione dei suoi spostamenti. La sua salute non le permetterà più gli strapazzi di un lungo viaggio»
Isabella si ammala e il rapporto con Rossini si incrina. Entrambi erano al termine delle carriere e il loro linguaggio, fatto di musica, non ha più senso. Sono due superstiti che devono organizzarsi una vita diversa.
Giacchino parte per Parigi per l’inaugurazione della nuova stagione del Théâtre Italien, ma la nuova situazione determinata in Francia con le trois glorieuses giornate del luglio 1830 rischiava di compromettere la pensione che Carlo X, il sovrano deposto, aveva promesso a Rossini.
Isabella si riscostruisce una nuova autonomia e si lamenta con gli amici del trattamento riservatole dal padre del marito, che gestiva la borsa di casa.
Insieme ai temporali umorali arrivano quelli metereologici. Nel 1832 un temporale dissesta il tetto della villa di Castenaso.
Nel 1834 avviene lo strappo. Gioacchino aveva conosciuto Olympe Pélissier.
In una lettera datata 15 marzo 1739, Rossini scrive della moglie [a Filippo Santocanale di Palermo] «Io non faccio altro che versar lacrime di sangue e nel tempo ch’io piango la Sig.ra di cui mi parlate nella vostra lettera, e per la quale v’impegnate, dà Concerti, Pranzi, riunioni brillantissime tutti i Sabati mancando così ad ogni specie di delicatezza; per vostra norma sappiate ch’ella ha l’assegno di Ducati, in contanti, due mila duecento trentadue annui; più il godimento della villa di Castenaso con Orto, Prati, Bosco, Giardino etc....Dacché può calcolarsi almeno altri ducati 250, ora dimando a voi se con un assegno simile per una donna sola in un paese dove il vitto è a vile prezzo debba questa megera andar domandando socorsi come se gli mancasse pane e così seguitare, ciò che non ppuò più fare in Bologna a voler nuocermi nell’opinione dei pochi amici che mi rimangono. Io spero che avrete abbastanza pietà di me per non darmi più il rossore di leggere nelle vostre lettere il nome di questa Messalina che odio quanto amo mio padre».
Mentre Olympe si definisce come «una donna grassa che è occupata a digerire dalla mattina alla sera, cercando di ingannarmi a proposito delle devastazioni del tempo, e ora che i miei capelli sono grigi faccio finta che siano biondi; non so più di che sesso sono e mai sono stata così felice», Isabella molto più sobria, molto più magra, il 5 luglio 1840 invita Francesco Sampieri a pranzo a Castenaso per il suo onomastico: «Mercoldj è St. Isabella se voleste favorirmi a mangiar una zuppa a Castenaso fareste un piacere alla vostra pour la vie». Questo è il regime di vita dissoluto che conduce Isabella da quando si è separata dal marito e quando la malattia le concede una tregua.
Il giardino continua a essere uno dei suoi passatempi ma anche una delle sue preoccupazioni: «Mi domandaste che vi scrivessi a Firenze, ed’eccomi qua, ma per che? Per darvi una commissione. Sapiate che avanti ieri ho avuto la tempesta nel mio povero giardino? Non mi è restato nulla agrumi fiori arbori tutto andato, l’unica cosa che credevi i restasse anche questa è andata, essendo voi a Firenze vi pregherei mandarmi qualche semente per l’autunno ma bisogno mandarle la più presto per seminare che questa è la stagione; spendete poco pochissimo voi sapete le mie circostanze [...]».

[lettera di Isabella Colbran a Lorenzo Bartolini di Firenze, entro l’8 aprile 1845]
«Le dalie anno [sic] avuto
un fine infelice la pioggia
li anno [...] guastate tutte essendo stato
molto ammalato il giardiniere
li lasciò in terra e tutto andato
a male»

Isabella muore il 6 ottobre 1845 alle 22,30. La villa resterà chiusa fino al 1851, quando fu venduta e in seguito demolita. A ricordare il giardino in stile eclettico resta la copertura del pozzo.
Le immagini della villa Rossini e del pozzo sono tratte da http://www.comune.castenaso.bo.it/vivi-castenaso/itinerario-storico-artistico


BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
Anna Maria Matteucci, I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, Milano, Mondadori Electa, 2002.
Per i brani delle lettere qui riportate si rimanda all'opera di Sergio Ragni, Isabella Colbran, Isabella Rossini, 2 volumi, Varese, Zecchini, 2011
Marco Riccomini, Giuseppe Maria Crespi. I disegni e le stampe. Catalogo ragionato, Torino, Umberto Allemandi & C:, 2014)

SITOGRAFIA CONSULTATA (fino alla data 14 agosto 2018)
http://www.comune.castenaso.bo.it/vivi-castenaso/itinerario-storico-artistico